Gino Foti, tutta la sua storia politica. Il racconto, in un omaggio di Michele Mangiafico

Michele Magnifico, ci fa pervenire questo ricordo sulla vita politica di Gino Foti e sul percorso importante che la sua figura ha avuto negli ultimi 60 anni per la città di Siracusa. Lo pubblichiamo perché lo troviamo un bell’omaggio, dettagliato e preciso, che viene da chi la storia della Democrazia Cristina la conosce bene, in quanto figlio di Franca Gianni e nipote di Pippo Gianni e  da giovanissimo l’ha vissuta e respirata in prima persona,  vivendo anche i vigorosi scontri tra le due famiglie,   scontri forti ma leali. Questo omaggio, ha in questa luce, anche un peso maggiore. 

Il cammino politico di Gino Foti inizia a Siracusa con il Movimento Sociale Italiano, partito che negli anni sessanta competeva con il Partito Liberale per l’ultimo seggio disponibile per la provincia di Siracusa per Palazzo dei Normanni, sede dell’Assemblea Regionale. In occasione della competizione del 1958 fu il M.s.i. a strapparlo ai liberali, mentre nel 1963 accadde il contrario, con l’elezione dell’avvocato Giovanni Sallicano, e a farne le spese fu proprio Luigi (detto “Gino”) Foti, futuro protagonista della politica siracusana, ma sempre sconfitto – ad onor di cronaca – nella sua aspirazione a diventare deputato regionale (si presenterà anche in occasione della competizione successiva, sempre nelle fila del M.s.i.).
Nel 1964 entra in Consiglio comunale come primo degli eletti (tre in tutto) della lista del Movimento Sociale Italiano. Nel corso del quinto Consiglio comunale della storia repubblicana (1964-1970), Gino Foti maturerà il passaggio alla Democrazia Cristiana, consumato al termine di quella esperienza a Palazzo Vermexio. Va detto, per inciso, che in tutto quell’arco di tempo noto come Prima Repubblica, a partire dal 1953 con la sindacatura di Marcello Alagona, non ci sarà più sindaco che non sia espresso dallo scudocrociato, come a dire che, per conquistare la sindacatura a Siracusa, bisognasse passare necessariamente dal partito che rappresentava il potere. Così fu per Foti, che il 20 aprile 1970 partecipa con voto favorevole, insieme ai partiti di governo della città, alle cosiddette “integrazioni” al Piano Regolatore che era entrato in Consiglio comunale: sostanzialmente, si dava il via libera, rispetto al piano originario, all’espansione ad ovest della 114, ossia nelle aree dell’Epipoli, di Pizzuta e di Belvedere e alle aree destinate all’edilizia popolare, a Mazzarrona e Santa Panagia. Le opposizioni lo etichettarono come “anti-piano”.
Nel 1970 è ottavo degli eletti, per numero di preferenze, nella lista che la Democrazia Cristiana presenta per Palazzo Vermexio, dove l’allora partito della “balena bianca” entra con 21 consiglieri comunali su 40. Il Movimento Sociale risentì elettoralmente della perdita di Foti (e di Carlo Motta), passando dal 6,5% del 1964 al 4,9% del 1970. Gino Foti fu nominato capogruppo della Dc.
All’interno della Democrazia Cristiana, gli equilibri mutano con le elezioni regionali del 1971, in cui il senatore Verzotto – dominus del partito in fase “calante” – non riesce a fare eleggere nessuno dei suoi uomini più vicini. I deputati regionali espressi dalla DC saranno quell’anno Pippo Lo Curzio e Santi Nicita, che lasciano di conseguenza il ruolo di assessori al Comune e spianano la strada ad una rivoluzione negli assetti di Palazzo Vermexio. Gino Foti sarà prima assessore con Marcello Sgarlata (dal 18 dicembre del 1971 al 22 marzo del 1972) e, quindi, Sindaco di Siracusa fino al 28 dicembre del 1973.
L’elezione a Sindaco non fu scontata. Al tempo, il Sindaco veniva scelto dai consiglieri comunali e Gino Foti raccolse 19 voti su 22 presenti. La sua elezione rappresentò anche l’affermazione della “corrente” di Santi Nicita all’interno della Democrazia Cristiana.
La città deve all’Amministrazione comunale di Luigi Foti la gestione delle delicate questioni delle concessioni edilizie dei lotti interclusi del P.r.g. del 1970, l’assegnazione delle aree all’Istituto Autonomo Case Popolari, l’adozione dei piani per gli alloggi popolari di contrada Mazzarrona e contrada Palazzo, la redazione della Pianta Organica del Comune e del primo Piano quadro del Verde (comprendente, oltre al Parco della Neapolis e al Parco dei papiri nell’area del Ciane, i due parchi ancora da realizzare dell’Acradina e dell’Epipoli), la delibera con cui fu deciso che piazza Adda divenisse uno spazio pubblico attrezzato anziché, come previsto dal Piano Regolatore, una cosiddetta zona “B4”, ovvero una zona residenziale con densità territoriale di 330 abitanti per ettaro, una significativa riduzione del disavanzo comunale. Gino Foti introdusse il tema dell’eliminazione della “cintura ferroviaria” di corso Gelone.
In aula, un clima “rovente” non lesinò di accompagnare i dibattiti tra Gino Foti e il consigliere comunale Piscitello, del Partito Comunista, strascichi del confronto sul Piano Regolatore e sulle sue conseguenze operative.
Alle elezioni comunali del 1975, Gino Foti è il primo degli eletti della Democrazia Cristiana, che conquista 23 seggi su 50. Tuttavia, la sua elezione viene annullata (insieme a quella di altri due consiglieri comunali), prima dall’aula e poi dalla Commissione provinciale di controllo, che eccepiscono l’incompatibilità con il ruolo di funzionario del Banco di Sicilia, che gestiva la tesoreria del Comune. All’impedimento ne segue un giovamento, perché nel 1979 per Foti si apriranno le porte del Parlamento nazionale. Verrà eletto consecutivamente alla Camera dei Deputati in occasione dell’ottava, nona, decima e undicesima legislatura (dal 1979 al 1994), ricoprendo più volte il ruolo di sottosegretario.
La sua influenza sul partito e sulle dinamiche di Palazzo Vermexio è crescente. A lui va attribuita anche la “spinta” a Fausto Spagna, figura politica dalla crescente popolarità, affinché ricoprisse più volte il ruolo di assessore e, dalla metà degli anni ottanta, quello di Sindaco della città.
L’11 luglio del 1992, con l’avvento di Tangentopoli e la “crisi” della Prima Repubblica è tra gli “architetti” di un tentativo di rinnovamento della classe dirigente locale attraverso la cosiddetta “Giunta baby”, che ebbe come primo cittadino Franco Cirillo. E’ lo stesso anno di uno dei più lunghi comitati provinciali, che vedrà la deliberazione dello “scioglimento delle correnti”, dell’approfondimento del rapporto col Pds e del divieto di ricoprire incarichi nelle Giunte e negli Enti Pubblici Economici per chiunque avesse un rinvio a giudizio per reati contro la Pubblica Amministrazione. Benché il motto fosse allora “cambiare per sopravvivere”, la Dc crolla anche a Siracusa, dove Rino Piscitello (figlio del consigliere di opposizione citato in precedenza) etichettò la Giunta baby come “Giunta dei portaborse”.
Nella diaspora della Democrazia Cristiana, Gino Foti raccoglie a livello locale il vessillo del CCD, formazione politica fondata Pier Ferdinando Casini. Tuttavia, nel 1994 decide di non ricandidarsi. In quella primavera, non era stato (ancora) colpito da indagini giudiziarie ma il fratello Armando, accusato in una inchiesta relativa al Siracusa Calcio nella qualità di Presidente della Provincia, aveva subito gli “arresti domiciliari” in virtù della parentela ritenuta “inquinante” col fratello deputato. Gino Foti scrisse al Presidente della Repubblica: “Siamo dunque a questo: i familiari vengono costretti a subire il carico di una parentela ritenuta inquinante considerata uno strumento utile alla consumazione di gravi reati per il solo fatto che – tra i parenti – v’è un deputato”.
La sua presenza politica, nella prima fase della cosiddetta “Seconda Repubblica”, resta comunque “condizionante” nella politica locale, prima attraverso il CCD poi attraverso il CDR (formazione ispirata da Francesco Cossiga, per l’elezione di numerosi consiglieri comunali e la capacità di “interdire” anche nel gioco per l’elezione del Sindaco (nel 1998, Aldo Salvo, da lui candidato raccoglie il 12% dei suffragi e costringe Angelo Bellucci ad andare al ballottaggio, che perderà). Nell’estate del 1998, dopo lunghi dissapori, è anche il tempo di una riappacificazione con Fausto Spagna, allora leader indiscusso del Partito Popolare. Insieme, portano Vincenzo Dell’Arte (sindaco per circa un anno) alle dimissioni. Ma “ricostruire” sarà più difficile che “distruggere” e, nei fatti, la città andrà nel novembre del 1999 a Titti Bufardeci (Forza Italia), che vince al ballottaggio proprio contro Fausto Spagna.
Dopo una breve esperienza col gruppo di “Democrazia Europea” di Sergio D’Antoni, avviene l’intuizione politica di lavorare all’interno del Partito Democratico, dove, dopo anni di opposizione a livello locale, sosterrà la candidatura a Sindaco, vincente, di Giancarlo Garozzo.
In molti hanno scritto che sabato 21 agosto, al Santuario della Madonnina delle Lacrime, la Chiesa fosse “gremita”. Io non la penso così. Ritengo che, per lo spessore del personaggio e per i legami intrattenuti così a lungo con la città e col mondo politico, ci fosse poca gente, benché apparentemente la cripta sembrasse piena. Mancavano figure di spicco del lungo percorso politico con cui aveva intrattenuto rapporti stretti, al netto del senso delle istituzioni che avrebbe potuto portare alla presenza anche molti altri. E, soprattutto, mancava molta parte della città, che più volte gli aveva tributato personalmente ampi consensi elettorali.
Porzioni importanti del territorio cittadino hanno risentito della sua “mano” di amministratore e si presterebbero ad essergli dedicate.

Michele Mangiafico